ROBERTA LIVERANI

Roberta Liverani
Roberta Liverani

Pare quasi impossibile che dalla scuola di due maestri del realismo romagnolo novecentesco come Umberto Folli e Giulio Ruffini, sia uscita un’allieva come Roberta Liverani che dal mondo surreale e metafisico ha elaborato la forma e la sostanza del proprio linguaggio artistico. È indubbio che a ciò, oltre all’essenza intrinseca della qualità spirituale e culturale dell’artista, sia stata di rilevante importanza l’aver vissuto a lungo ed operato con successo in Trentino, zona culturalmente diversa da quella romagnola ed assai più ricettiva alle suggestioni artistiche d’oltralpe.

Per una giovane pittrice,manualmente dotatissima, malinconica, introversa e insofferente, l’incontro con le scenografie rutilanti e pirotecniche di Dalì ed a seguire con la feroce genialità magrittiana, appare come una rivelazione. Una fascinazione che la sconvolge e che muterà radicalmente e per sempre il suo stato etico d’artista. I dipinti si fanno densi di immagini a lungo represse che tentano di fuoriuscire dalla tela e spandersi per l’aria. È una rottura violenta e clamorosa degli argini e degli schemi razionali dell’ordine naturale delle cose. Un fiume magmatico che sale dal profondo, incontrollabile, fatto di sogni, di dolori, di desideri frustrati e di speranza, il tutto affogato in un surreale cromatismo. La pittura di Roberta Liverani in quegli anni appare profondamente svincolata dalla realtà che la circonda e, malgrado i titoli, le opere non raccontano storie ma rappresentano in maniera evidente lo stato etico e la condizione psicologica dell’artista. Sono dipinti di grande perfezione formale e di straordinariecromie ma talmente densi di segni e di simboli da fondersi in un unico vibrante messaggio: sono viva e questi sono i miei bagagli.

Roberta Liverani è artista troppo intelligente e sensibile per non rendersi conto  che molti oggetti  non identificabili in vetrina finiscono per indebolire e rendere più incerto il messaggio e che occorre imbrigliare la spinta propulsiva, enucleare le tematiche e proporle in chiave più metafisica. Ecco allora aprirsi, dapprima quasi timidamente, nuove tipologie figurative rese in piccoli quadretti di nature morte e varie composizioni. Il linguaggio metafisico ha prevalso sul surreale e l’oggetto è tornato sulla tela apparentemente solido e veritiero. Solo apparentemente appunto poiché Roberta Liverani non sarà mai una pittrice della realtà ma ne utilizzerà i simulacri per raccontarci, attraverso le proprie, le nostre sofferenze esistenziali. E lo fa con un’abilità perversa e maniacale, utilizzando, unica concessione surreale, i colori impossibili dell’inconscio. Compie un traslato straordinario parlandoci della precarietà della vita attraverso i nostri abiti che sono la seconda pelle di ciascuno e di ciascuno portano le caratteristiche estetiche e sensoriali. Vanno lavati come si fa oggi, tutti fitti e pesti in una lavatrice che non riconosce sesso, ceto, o appartenenza. In un mondo ove la tragedia spesso si tinge di allegri colori, non poteva esserci similitudine più acuta e dolente. Gli abiti si lavano, si stirano e vanno indossati con cura poiché ci rappresentano e sono ciò che rendiamo visibile di noi.

Dice Roberta: mi raccomando, controlliamo soprattutto giacche e camicie poiché è da lì, sul petto, che compaiono quasi sempre le prime muffe.

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